Passeggiare in bici per Roma

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PANTHEON

(Pianta A 3—8), uno dei più augusti e grandiosi edifici di Roma antica giunti fino a noi e il meglio conservato. Per la sua mole eccezionale, per il particolare carattere della sua planimetria (un edificio a pianta circolare unito a un pronao di tipo greco), per il suo armonioso insieme e per la sapienza costruttiva con cui è stata voltata la cupola, può ritenersi il più importante e significativo monumento dell’architettura romana. Lo fece costruire, nel 27 a.C., «Marco Vipsanio Agrippa», genero di Augusto, «console per la terza volta» (come dice l’iscrizione latina, appartenente però al rifacimento adrianeo, sulla trabeazione del portico), che lo dedicò probabilmente alle sette divinità planetarie (il nome significa «di tutti gli dei »). Danneggiato da un incendio nell’80, fu restaurato da Domiziano; ancora danneggiato al tempo di Traiano, fu completamente rifatto da Adriano (118—125 d.C.), poi restaurato da Settimio Severo nel 202 e da Caracalla, come attesta l’iscrizione in caratteri piccoli, sotto quella di Agrippa.

Chiuso dai primi imperatori cristiani. saccheggiato dai barbari. fu donato dall’imperatore Foca al papa Bonifacio IV, che lo dedicò (609) alla Madonna e a tutti i Martiri (S. Maria ad Martyres); spogliato delle tegole di bronzo dorato dall‘imperatore Costante Il (663), ebbe un tetto di piombo da papa Gregorio III (735). Fu considerato durante il Medioevo come una meraviglia e uno dei simboli della città; tuttavia fu adoperato anche come fortilizio nelle lotte cittadine. All‘inizio del Rinascimento ebbe parecchi restauri. Urbano VIII Barberini tolse la travatura bronzea del portico (“quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini» disse Pasquino) per farne il baldacchino di S. Pietro e cannoni per Castel Sant‘Angelo; sotto Alessandro VII fu demolito il campaniletto romanico, con quadrifora sulla fronte. che posava sul frontespizio, e il Bernini lo sostituì con 2 campaniletti alle estremità dell’attico (le «orecchie d’asino»), demoliti nel 1883; Clemente IX circondò il pronao con una cancellata in ferro (1668): Pio IX procedette a restauri (fu rinnovato in parte il pavimento) e a lavori di isolamento, proseguiti, insieme ad altri di scavo. dal Governo italiano. Nel Pantheon sono sepolti i primi due re e la prima regina d’Italia.

L’edificio consta di un grande corpo cilindrico (la cella) e di un pronao. È rivestito esternamente di mattoni, con potenti archi di scarico nei muri perimetrali, che hanno uno spessore di m 6,20. La grandiosa cella e coperta da una cupola o meglio calotta semisferica, la più grande che sia stata costruita: il diametro e l’altezza del vano sono uguali (m 43.30). 11 pronao (largo m 33.10, profondo 15.50) ha 16 colonne monolitiche, 8 sulla fronte e le altre disposte in profondità su 4 file a formare 3 navate; lo corona un grande frontone triangolare. che originariamente era ornato da un rilievo in bronzo. Pianta, qui contro.

Le colonne del pronao (alte m 12.50. con m 4.50 di circonferenza), di granito rosa e grigio, sono lisce e con capitelli corinzi; le tre a sin. sono state rifatte sotto Urbano VIII e Alessandro VII (stemmi nei capitelli), in sostituzione di altre rovinate. Il portale conserva battenti in bronzo. forse gli originari, restaurati da Pio IV: nei due nicchioni ai lati, erano collocate colossali statue.

INTERNO mirabile per l’armonia delle proporzioni e la grandiosità delle linee. Tutto intorno. in basso. si aprono 7 nicchioni, alternativamente rettangolari e semicircolari, aventi ciascuno, sulla linea frontale, due colonne e due lesene angolari scanalate corinzie (m 8,90 di altezza) altezza); il nicchione di fondo è invece sormontato da un rande arco, simmetrico a quello che sovrasta l’ingresso.

Negli spazi tra i nicchioni, 8 edicole con colonne corinzie, coronate da timpani, alternativamente arcuati e a triangolo.

Sopra l’elegante trabeazione che corre tutt’intorno, si leva un alto attico, in cui si alternano riquadri e finestre cieche con frontespizio a timpano, motivo non originario, ma dovuto all’arch. Paolo Posi, che nel 1747 lo sostituì alla decorazione antica di marmi policromi; questa era costituita a una ripartizione di lesene e da finestre architravate, con transenne, come si vede nel tratto ripristinato a d. del nicchione di fondo. Al di sopra s’incurva la colossale volta a cinque ordini di cassettoni digradanti (28 per ordine), e con un grande occhio centrale (m 9 di diametro) aperto sul cielo e ancora orlato di bronzo, unica sorgente di luce a rischiare il grande vano.

Nella 1a cappella a d. (1 nella pianta), l’Annunciazione, affresco attribuito a Melozzo da Forlì. — Nella 2a cappella (2), la tomba di re Vittorio Emanuele II (m. 1878), del Manfredi. – Nell’edicola seguente, S. Anna e la Vergine giovinetta, gruppo attribuito a Lor. Ottoni, ma forse di Vincenzo de Rossi. – Nella 5a cappella (3), mon. del card. Consalvi, segretario di Stato di Pio VII e titolare della chiesa, sepolto in S. Marcello, del Thorvaldsen (1824). — Tra la 5a e la 6a cappella (4), edicola con la *tomba di Raffaello Sanzio, antico sarcofago di marmo greco, recante sulla fronte il noto distico del Bembo: «Ille hic est Raphael, timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori» (Qui giace quel Raffaello dal quale, vivo, la gran madre di tutte le cose – la natura – temette di essere vinta e, lui morto, di morire); nella nicchia, statua della Madonna del Sasso, commessa per volontà testamentaria di Raffaello (1520) al Lorenzetto, che la eseguì con la collaborazione, forse, di Raffaello da Montelupo; a d., lapide in ricordo di Maria Bibbiena, fidanzata di Raffaello e nipote del card. Dovizi da Bibbiena; a sin., busto di Raffaello, di Gius. Fabris (1833).

Nella 6a cappella (5), tomba di re Umberto I (ucciso a Monza il 29 luglio 1900), di Gius. Sacconi (1910), con le figure della Bontà (di E. Maccagnani) e della Munificenza (di Arn. Zocchi) in bassorilievo di argento; al disotto, tomba della regina Margherita (m. 1926). — A sin. dell’altare seguente (6; di S. Agnese), tomba di Baldassarre Peruzzi. – Nella 7a cappella (7), all’altare, S. Giuseppe e Gesù fanciullo, gruppo di Vincenzo de Rossi (1550—’60) e, ai lati, tombe di Taddeo Zuccari, Perin del Vaga e Flaminio Vacca; ai lati dell’altare, Natività e Adorazione dei Magi, di Franc. Cozza; alle pareti, Sogno di S. Giuseppe e Fuga in Egitto, rilievi in stucco di C. Monaldi (c. 1720). – Per una porticina a d. dell’altar maggiore si passa in sale romane, adattate a cappella (A) e a sagrestia (B). – In alcuni locali nella parte alta del monumento, è la sede della Pontificia Accademia dei Virtuosi del Pantheon (ingresso sotto il pronao, a sin.), nella quale sono conservati ritratti e dipinti dei «Virtuosi» e un archivio che risale fin dagli inizi dell‘attività dell‘Accademia (1 genn. 1543).

Lungo il fianco sin. del Pantheon è visibile un grande muro a mattoni, in origine rivestito di marmo: esso appartiene al portico occidentale della grande piazza, della Septa Julia, destinata alle elezioni, divenuta in epoca imperiale sede di un mercato di antiquariato e opere d‘arte.

Nella piazza, di fronte al Pantheon, ricca fontana con vasca mistilinea quadrilobata, di Giac. Della Porta (1578), con nel mezzo un obelisco egizio trovato, come quello della Minerva, tra le rovine dell’lseo Campense, qui innalzato nel 1711 sopra un basamento piantato su scogliera rocciosa, disegnato da Fil. Barigioni e decorato con delfini e stemmi di Clemente XI, rifatti nel 1886. I geroglifici dell’obelisco ricordano, come quelli dell’obelisco di piazza del Popolo, il faraone Ramesse II.

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